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- Dracaena Draco
< Back Dracaena Draco Dracaena Draco La Dracaena Draco è una pianta decisamente lenta, ma molto longeva; si stima possa arrivare fino a ottocento anni, come l’esemplare a Icos de Los Vinos alle Isole delle Canarie, ma essendo una molocotiledone non presenta anelli annuali che ci confermino la sua età. Detta anche Sangue di Drago per via della sua resina che al contatto con l’aria diventa rossa, era già utilizzata dagli antichi romani come “cinabro” pigmento utilizzato come colorante per lana, ceramica, marmi e anche rossetti. Più avanti è stato utilizzato anche come mordente per i violini Stradivari. Oggi è ancora usata nella medicina popolare per arrestare le emorragie, curare le ulcere e il trattamento della diarrea ed è anche per questo che è a rischi di estinzione. Link Previous Next
- Orto Botanico di Amsterdam | terrimago
Correva l’anno 1638 quando la peste si abbatté su Amsterdam e le piante medicinali rappresentavano l’unico modo che si conosceva per curarla e prevenirla. Fu proprio per questo motivo che in quello stesso anno venne alla luce l’Hortus Medicus, luogo di formazione dove medici e farmacisti si incontravano per imparare e condividere le conoscenze botaniche e mediche, arricchendone sempre di più la collezione di piante officinali. OLANDA ORTO BOTANICO DI AMSTERDAM Da Ortus Medicus a Ortus Botanicus Fotografie Cristina Archinto Testo Carla De Agostini C orreva l’anno 1638 quando la peste si abbatté su Amsterdam e le piante medicinali rappresentavano l’unico modo che si conosceva per curarla e prevenirla. Fu proprio per questo motivo che in quello stesso anno venne alla luce l ’Hortus Medicus , luogo di formazione dove medici e farmacisti si incontravano per imparare e condividere le conoscenze botaniche e mediche, arricchendone sempre di più la collezione di piante officinali. Il primo che catalogò l'intera collezione fu, nel 1646, l'allora direttore Johannes Snippendaal: gli servì un intero anno per contare le 796 specie di piante, e scrivere il catalogo, ma grazie a questo duro lavoro Carl Nilsson Linneo nel 1753 riuscì a scrivere la sua opera fondamentale Species Plantarum . Nel 1682 intanto, grazie ai contatti commerciali della Compagnia delle Indie Orientali e all’aiuto dei collezionisti dei Paesi Bassi, l’Orto acquisì moltissime specie non solo medicinali, ma anche da serra ed ornamentali, che trasformarono il vecchio Hortus da Medicus a Botanicus, nuovo centro di intensa attività di ricerca e di commercio. Sempre in questo periodo, vennero incaricati di documentare la nuova raccolta gli illustratori botanici Jan e Maria Moninckx, che realizzarono l’Atlante di Moninckx: non il solito erbario con piante essiccate, ma un catalogo contenete le riproduzioni grafiche delle piante più recenti ed esotiche. L'incarico, che si concluse nel 1749, richiese la produzione di ben nove volumi, e coinvolse nella bottega di Jan e Maria altre esperte acquarelliste. Vi collaborarono infatti Johanna H. Herolt, figlia di Sibylla Merian, e Alida Withoos, figlia di Mathias Withoos, il pittore di nature morte maestro di Gaspar Van Wittel. Tutt’ora l'Atlante Moninckx è considerato la principale testimonianza dello straordinario contributo delle donne alla nascita del disegno scientifico. Oggi, l’Orto Botanico si estende poco più di un ettaro ma vanta una ricchezza vegetale enorme: sono presenti circa 4.000 specie, tra quelle coltivate all’esterno e quelle ospitate nelle sue sette serre, appena sopra al 1% della diversità vegetale mondiale ed è un luogo ricco di storia, dove si intrecciano vicende moderne di emancipazione e studi all’avanguardia per l’attenzione sia al passato che al presente. Ne è un esempio il giardino attraversato da sentieri circolari che col tempo, esattamente nel 1863, riorganizzato in Giardino Sistemico. La forma a semicerchio rappresenta infatti la classificazione sistematica delle piante: le specie che sono strettamente imparentate si trovano a crescere l'una vicino all'altra, mentre quelle che hanno poco in comune sono coltivate lontano. Attualmente sono classificate secondo l’Angiosperma Phylogeny Group (APG), tra le tecnologie più avanzate della “sistemica molecolare”, basata sulle analogie del materiale genetico. Qui, se l’estate è un tripudio di fioriture, l’inverno lascia emergere le linee simmetriche delle siepi di bosso. Un vero e proprio capolavoro di architettura moderna è la Serra dei Tre Climi, progettata nel 1993 da Zwarts & Jansma Architects che riunisce tre diverse ambienti climatici: i subtropici, il deserto e i tropici. Una passerella sospesa consente ai visitatori di passare da una zona e l’altra, ognuna con la propria temperatura, umidità e circolazione dell’aria. Chi vi passeggia gode la vista sull’intreccio di liane e foglie, osserva da vicino la chioma degli alberi mentre intravede il cielo dal tetto di vetro, attraversando la macchia secca, la giungla e il deserto. Nella prima si imbatte in gerani, agapanti e gerbere, poi giunge al clima umido subtropicale dove la protagonista è l’abbondanza di acqua, e infine alla sezione desertica, dove spiccano cactus e maestose succulente provenienti da deserti lontanissimi tra loro. Invece nella Serra delle Palme si può ammirare, accanto agli esemplari di palme giganti, la famosa cyca Encephalartos altensteinii di 350 anni, acquistata nel 1850 da Guglielmo III. L’Hortus vanta la presenza di 60 specie diverse di cicadi, protette e tutelate anche grazie alla collaborazione con altri Orti, attraverso lo scambio di polline, semi o piante giovani. Centinaia di farfalle tropicali infine colorano la piccola Serra delle Farfalle, svolazzando su una interessante collezione di piante tropicali legate al commercio con le Americhe, come il caffè, il tè o il cioccolato. L’Orto è inoltre specializzato nelle famiglie di piante sudafricane, australiane e carnivore. L’Hortus Botanicus di Amsterdam, con le sue vicende e le sue collezioni, è ormai un patrimonio storico, erboristico e scientifico riconosciuto internazionalmente, ma è anche piacevole tappa in cui perdersi durante una gita nella città olandese per eccellenza. GALLERY Info: Sito ufficiale Foto ©CRISTINA ARCHINTO IN EVIDENZA Illustrazioni di Maria Moninckx e Maria Sibylla Merian ILLUSTRAZIONI BOTANICA AL FEMMINILE: L'ATLANTE MONINCKX L’Atlante Moninckx è una raccolta di immagini botaniche, contenente le riproduzioni ad acquerello e guazzo su pergamena, di 425 piante esotiche provenienti dall’Asia, dal Sudafrica e dal Sud America, messe a dimora nell’Orto Botanico di Amsterdam. Questa collezione, suddivisa in nove libri, prende il nome dai due artisti che maggiormente hanno contribuito a realizzarlo: Jan e Maria Moninckx. Maria Moninckx nasce a L’Aia intorno al 1673, ed è figlia di un importante pittore, Johannes Moninckx, e di Ariaentje Pieters, anche lei artista. Rinomata nel settore come pittrice floreale, per l’Atlante esegue ben 101 illustrazioni. L'affiancano, oltre a Jan Moninckx, altre due donne Johanna Herolt-Graff, figlia di Maria Sibylla Merian i cui libri sono considerati ancora oggi capolavori di pittura e precursori della moderna entomologia, e Alida Withoos. Entrambe illustratrici botaniche del tempo, fanno parte di una disciplina sottovalutata in campo artistico ma di estrema importanza nel mondo scientifico, quale ausilio per la classificazione e lo studio della morfologia delle piante, poiché diversamente dagli erbari fornisce una rappresentazione sia della forma che dei dettagli delle varie specie. In questo caso, le illustratrici botaniche studiano da vicino non solo piante e fiori ma la vita stessa degli insetti, spesso conseguendo importanti, quanto ignorati, risultati scientifici. Per esempio, Maria Sibylla Merian tra il 1679 e il 1683 stampa La meravigliosa metamorfosi dei bruchi e il loro singolare nutrirsi di fiori , un’opera dove illustra oltre 176 specie animali, dai bachi da seta alle farfalle, in ogni loro stadio di sviluppo con altrettante specie di fiori e piante di cui si ciba l’animale, ccanto a ogni tavola riporta infatti i dati circa i tempi di metamorfosi, di nutrizione e di ciclo di vita di ognuno. Proprio per tale precisione Merian è oggi considerata la prima entomologa della storia della scienza, un riconoscimento che le verrà dato solo nel Novecento, dopo secoli nell’ombra, rinomata nei soli circoli esperti del settore. Queste illustrazioni rappresentano dunque non solo uno strumento essenziale per la studio, ma anche di emancipazione dal pregiudizio secondo cui la scienza, e quindi la botanica, era, e spesso ancora è, appannaggio solo maschile. Altri giardini botanici e vivai Orto botanico di Napoli Orto Botanico di Zurigo e la Serra Malgascia Giardino Botanico Nuova Gussonea Orto Botanico di Catania Orto Botanico di Ginevra Centro Botanico Moutan Orto Botanico di Palermo Roseto di Roma
- Parco Giardino Sigurtà | terrimago
Al confine tra Veneto e Lombardia, a Valeggio sul Mincio, i 60 ettari del Parco Giardino Sigurà si sono colorati grazie alla Tulipanomania, la fioritura di tulipani più ricca in Italia, la seconda a livello europeo, per la presenza di oltre un milione di bulbi. VENETO PARCO GIARDINO DI SIGURTÀ L’incanto dei tulipani dall’antica Persia alle Valli del Mincio Fotografie Cristina Archinto Testo Carla De Agostini N onostante il freddo di fine marzo i tulipani del Parco Giardino Sigurtà sono spuntati! Al confine tra Veneto e Lombardia, a Valeggio sul Mincio, i 60 ettari del Parco si sono colorati grazie alla Tulipanomania, la fioritura di tulipani più ricca in Italia, la seconda a livello europeo, per la presenza di oltre un milione di bulbi. Il percorso di circa 10 km su vialetti in porfido incanta il visitatore tra radure fiabesche e monumenti in ricordo della famiglia Sigurtà. Scandito da vaste visuali sul Mincio, l’itinerario attraversa ponticelli, specchi d'acqua, raggiunge le aiuole del Grande Tappeto Erboso e le isole galleggianti, rotanti nei Laghetti Fioriti. Ogni angolo è una sorpresa, non solo per i tulipani ma anche per i narcisi, i muscari, i giacinti, le fritillarie. La loro disposizione è frutto di uno studio approfondito che garantisce una cromia perfetta, per centinaia di sfumature variopinte. Mentre, primavera dopo primavera, le aiuole si rinnovano, regalando sempre nuovi spettacoli. La proprietà, prima della famiglia Contarini, poi Maffei, è acquistata nel 1941 da Giuseppe Carlo Sigurtà che nel 1978 la apre al pubblico. L’area diventa presto un parco naturalistico e nel 2019 i Giardini di Sigurtà vengono premiati dalla World Tulip Society per l’eccellenza nella promozione e nella celebrazione del tulipano. Oggi Tulipanomania è un vero e proprio Festival che ne esalta la bellezza. La storia del tulipano parte ad Oriente: dal persiano delband , che significa copricapo o turbante. Le prime coltivazioni avvengono in Turchia dove raggiunge grande popolarità nel XVI secolo. Durante il regno di Solimano il Magnifico, si sviluppano numerose varietà che dalla sua corte esportate a Vienna, poi in Olanda e in Inghilterra. La scelta del nome Tulipanomania richiama la Febbre dei Tulipani che scoppiò in Olanda nella prima metà del XVII secolo. In quegli anni la domanda di tulipani toccò un picco così alto che ogni singolo bulbo raggiunse prezzi incredibili: nel 1623 alcuni arrivarono a costare anche un migliaio di fiorini olandesi. Considerando che il reddito medio annuo dell'epoca era di 150 fiorini, i bulbi divennero un bene su cui investire, scambiare con terreni, bestiame o case. Nel 1630, per soddisfare le esigenze del mercato, esistevano oltre 140 diverse specie di tulipani registrate solo in Olanda: ibridi monocolore, multicolore con striature, tratti o foglie fiammeggianti, tutti facevano a gara per creare il tulipano più bello e raro. Il prezzo record fu registrato per il bulbo più famoso, il Semper Augustus , venduto ad Haarlem per ben 6.000 fiorini. Nel 1636 divennero il quarto prodotto di esportazione più importante dell'Olanda, ma alla fine di quell'anno la “Bolla dei Tulipani”, raggiunto l’apice, scoppiò, mandando sul lastrico tantissime persone. La febbre riprese in Inghilterra nel 1800, dove il prezzo di un singolo bulbo arrivò a quindici ghinee, una somma che bastava ad assicurare a un lavoratore e alla sua famiglia cibo, vestiti e alloggio per almeno sei mesi. Ma nessun altro paese d'Europa eguagliò più il livello di tulipanomania degli olandesi. L’odierna Tulipanomania del Giardino Sigurtà ha a cuore il tema del giardino ecologico; premiato dall’European Award for Ecological Gardening, il Parco sensibilizza l’opinione pubblica promuovendo visite a piedi, in bici, in golf-cart elettrico o in trenino rétro che segue l’Itinerario degli incanti con guida multilingue. Sulla stessa linea di pensiero si inserisce la creazione del Labirinto, inaugurato nel 2011 su un’area prima adibita a parcheggio, dove ora crescono millecinquecento piante di tasso alte più di due metri, disegnando geometrie naturali su una superficie rettangolare di 2.500 metri quadri. Dalla torre al centro del Labirinto, si può ammirare la Grande Quercia che si erge da oltre quattro secoli. Finita la visita la sensazione sarà quella di non aver visto tutto. La grande varietà di luoghi sarà la scusa perfetta per tornare e scoprire il Giardino, in cerca di nuovi colori e fioriture in nuovi periodi dell’anno. IL TULIPANO NELLA STORIA “L’arte non poteva fingere una grazia più semplice, né la natura formare una linea più bella” scriveva James Montgomery, poeta scozzese, a fine ‘700. I tulipani, una specie bulbose appartenenti alla famiglia delle Liliaceae, intorno al 1554 vengono menzionati per la prima volta in Europa occidentale sotto il nome di tulipa , dal genere latino, o tulipant . La parola probabilmente deriva dal persiano دلبند delband "turbante" per la sua somiglianza col fiore. Uno dei racconti più antichi risale all’antica Persia: il giovane principe Farhad apprende che Shirin, il suo grande amore, è stata uccisa. Sopraffatto dal dolore, si getta da una scogliera. In realtà è un geloso rivale ha diffondere questa falsa voce per ostacolare la loro relazione. Così a simboleggiare l'amore eterno e il sacrificio, la tradizione vuole che dove il sangue del giovane principe sia gocciolato siano cresciuti dei tulipani. Ancora oggi in Iran, dove il tulipano è simbolo nazionale del martirio, usato anche come simbolo nella rivoluzione islamica del 1979, ricorda i martiri morti nella battaglia di Karbala nel 680 D.C. Le peripezie di questo fiore sono variegate e arrivano fino in Europa, in Olanda precisamente, dove nel 1636 la domanda di bulbi di tulipano crebbe a un livello tale che si cominciò a investirci in Borsa. I giornali dell’epoca, per esempio, riportano la storia di un birraio di Utrecht che scambiò la propria fabbrica di birra per soli tre bulbi di tulipano. I fiori divennero gioielli per le dame, arricchendone anche il significato intrinseco: regalare un tulipano può significare amore incondizionato e perfetto, o serve a brindare alla realizzazione di un obbiettivo raggiunto, può alludere alla vanità, o rispecchiare l’attitudine filosofica e la caducità della vita. Non a caso ritroviamo un vaso di tulipano vicino al busto di Seneca nel quadro I quattro filosofi dell’artista fiammingo Pieter Paul Rubens, a richiamare la scomparsa dei due personaggi al centro del dipinto, tanto cari al pittore. GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO LINK Sito ufficiale Altri GIARDINI e PARCHI Gairdino di Villa Lante Villa Lante parco del Flauto Magico Parco Flauto Magico Bomarzo Parco Villa la Grange Labirinto della Masone Giardino di Kenroku-en Giardino dell'impossibile Giardino di Ninfa
- Bercy | terrimago
Uno dei luoghi più suggestivi di Parigi è sicuramente il Parco di Bercy, la cui trama di sentieri, rotaie e riflessi d’acqua non può che affascinare. Con i suoi 13,5 ettari, nel 12° arrondissement, Bercy stupisce i passanti con indizi che raccontano un luogo di contrasti. PARIGI Parco di Bercy di CARLA DE AGOSTINI Uno dei luoghi più suggestivi e inaspettati di Parigi è sicuramente il Parco di Bercy, la cui trama di sentieri, rotaie e riflessi d’acqua non può che affascinare. Con i suoi 13,5 ettari, nel 12° arrondissement, Bercy stupisce i passanti con indizi che raccontano un luogo di contrasti. Anche se creato tra il 1993-1997 conserva ancora molto del suo passato: il vigneto, i cordoli e le rotaie testimoniano il vissuto industriale del sito luogo. Il progetto di gusto contemporaneo degli architetti B. Huet, M. Ferrand, J. Feugas, B. Leroy, incornicia un giardino di impianto ottocentesco, curato dai paesaggisti I. Le Caisne e P. Raguin. L’area su cui sorge il Parco ha subito molteplici trasformazioni, occupata da boschi cedui sino al XIII secolo, divenne dal ‘600 fino alla Rivoluzione, un luogo di villeggiatura lungo il fiume; durante il processo di industrializzazione della città il luogo divenne uno dei magazzini di vino più importanti di Parigi: la cellier du monde , cantina del mondo, fuori dai confini daziari ma in posizione strategica per la rotta commerciale, via Senna, con la Borgogna. Il Parco alterna laghetti ed opere architettoniche, aree verdi e boschive di cui tre zone ben distinte: les Parterres , al centro, composte da una scacchiera di nove giardini a tema, in omaggio alla biodiversità, dove diversi atelier ospitano frequenti eventi dedicati alla botanica curati da cittadini o da professionisti del settore; la Grande Prairie , a ovest, costituita da tappeti d’erba attraversati da viali e punteggiati da alberi e gazebo, dove spesso gruppi di ragazzi che godono della bellezza del posto. E infine, il Jardin Romantique , ad est, in cui si possono ammirare querce, betulle, ciliegi, arbusti di ogni tipo, e soprattutto i giochi d’acqua del laghetto delimitato da canneti e ninfee dove si incontrano anatre e aironi. Quest’ultima parte del Parco è molto ricca ed elaborata: l’amphithéâtre , l’anfiteatro, ricorda l’antico villaggio di Bercy, il Pavillon du Lac , esattamente al centro dello stagno, è sede di mostre ed esposizioni temporanee, nonché dell’Agence Parisienne du Climat de Paris , incaricata della transizione energetica della città. E ancora la rampa elicoidale che porta alla Bélvèdere è il punto di osservazione più alto da cui si possono ammirare uno splendido panorama e la Bibliothèque Nationale de France , altrimenti raggiungibile dalla passerella Simone de Beauvoir. Con i suoi duecento alberi centenari, per lo più platani, ippocastani e betulle, il Jardin Romantique ha un particolare fascino bucolico, arricchito da oltre milleduecento nuove specie arbustive e di fiori. Tra salici e querce maestose è una meta molto amata dai parigini che qua si concedono interessanti letture e piacevoli passeggiate, immersi in un piccolo paradiso naturale, protetti dal frastuono e dalla frenesia appena lì fuori della grande Parigi. GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO Info Sito ufficiale In evidenza Graminacee - Dryopteris filix-mas La famiglia delle Graminacee è molto vasta e comprende piante perenni e annuali, erbacee e sempreverdi, come anche i cereali ad uso alimentare, per un totale di quasi 8000 specie. Sono erbacee, ovvero non hanno né rami né fusto legnoso, e ultimamente fanno spesso la parte del leone nei giardini di tutti i tipi per la loro eleganza, la loro varietà e perché tollerano le più svariate condizioni climatiche non avendo bisogno di molta acqua ed essendo resistenti al gelo. Demetra nella mitologia è la dea del grano e dell'agricoltura, rende la terra fertile ed è artefice del ciclo delle stagioni e viene spesso rappresentata con una corona, un fascio di graminacee o di grano e una torcia. Altri GIARDINI e PARCHI Parco del Paterno del Toscano Villa Lante Labirinto della Masone Villa d'Este Giardino di Kenroku-en Giardino dell'impossibile Giardino di Ninfa Villa Pizzo
- kenroku-en| Terimago
Kenrokuen o “giardino dei sei attributi” a Kanazawa è uno dei parchi più belli del Giappone. È caratterizzato da un laghetto artificiale, costruzioni in stile tradizionale e moltissime specie di piante e alberi anche monumentali che rendono il parco suggestivo in tutte le stagioni. GIAPPONE KANAZAWA Il giardino di Kenroku-en l Kenroku-en "Giardino dei sei attributi" o "Giardino delle sei sublimità" è un antico giardino privato nella città di Kanazawa, prefettura di Ishikawa, Giappone. È considerato uno dei tre giardini più belli del Giappone. Il grande parco-giardino, che si trova vicino all'entrata al castello di Kanazawa, è famoso per offrire ai suoi visitatori bellissimi scorci in ogni stagione. La sua costruzione può essere fatta risalire all'inizio del XVII secolo per opera del clan Maeda, che governava il feudo di Kaga ma non è semplice fornire una data esatta della sua origine. Secondo alcuni può essere fatta coincidere con la costruzione del canale Tatsumi nel 1632 da parte di Maeda Toshitsune, terzo capo del clan Maeda dal 1605 al 1639. Il canale venne in seguito incorporato nel 1822 nel tortuoso fiume artificiale del giardino. Secondo altri, il giardino nasce grazie al quinto daimyo di Kaga, Maeda Tsunanori (r. 1645–1723). Questi fece costruire nel 1676 l'edificio chiamato Renchi-ochin ("padiglione dello stagno del loto") sul pendio che si trova di fronte al castello di Kanazawa, e un giardino circostante, inizialmente chiamato Renchi-tei "giardino dello stagno del loto". Poco si conosce della struttura e delle caratteristiche del Renchi-tei, a causa di un incendio che lo distrusse quasi interamente nel 1759. Stando a documenti risalenti agli anni precedenti, il giardino veniva spesso visitato dalla nobiltà locale, che vi organizzava banchetti per contemplare la luna e le foglie d'autunno, e per ammirare i cavalli. Vi è una leggenda legata alla Fontana sacra del Kenroku-en, secondo alcuni l'elemento più antico del giardino rimasto fino ai giorni nostri: 1,200 anni fa, un contadino di nome Tōgorō si fermò alla Fontana per lavare le patate. All'improvviso, sulla superficie dell'acqua iniziarono a risalire frammenti d'oro, motivo per cui la città venne chiamata Kanazawa, "Palude dorata". L'acqua proviene dal bacino per le purificazioni che si trova presso il santuario shintoista nelle vicinanze, e molte persone vengono a raccogliere l'acqua per la cerimonia del tè presso questa fontana. La Shigure-tei, casa del tè costruita nel 1725 e miracolosamente sopravvissuta all'incendio del 1759, sembra indicare non soltanto la diffusione di questo rituale nel periodo precedente all'incendio, ma anche della cultura ad esso tradizionalmente associata, che avrebbe influenzato l'estetica del giardino. La Shigure-tei fu usata anche dopo l'incendio e poi completamente restaurata durante il periodo Meiji. Un altro elemento già presente nel periodo precedente all'incendio del 1759 è la pagoda Kaiseki-tō, attualmente situata su un'isoletta nella zona centrale del laghetto Isago-ike. Secondo alcune fonti fu fatta erigere da Maeda Toshitsune, terzo daimyo di Kaga, che visse tra il 1594 e il 1658, ed è quindi possibile che sia precedente alla creazione del giardino Renchi-tei. Secondo altre fonti, la pagoda sarebbe stata inizialmente parte di una pagoda a 13 piani situata nel giardino Gyokusen-in del castello di Kanazawa, ma una terza fonte riporta che essa fu portata dalla Corea da Katō Kiyomasa, di ritorno dalle campagne militari iniziate per volere di Toyotomi Hideyoshi, a cui sarebbe stata donata, che a sua volta avrebbe regalato a Maeda Toshiie. Se la teoria è vera, la pagoda arrivò nelle mani del clan Maeda tra il 1592 e il 1598, ovvero gli anni dei tentativi di Hideyoshi di conquistare la Corea e la Cina. Le teorie sopracitate non si escludono a vicenda, per cui è possibile che Maeda Toshiie abbia ricevuto da Hideyoshi una pagoda a 13 piani, posizionandola nel giardino Gyokusen-in, e che i daimyo successivi avrebbero spostato nella posizione attuale, riducendone il numero di piani. Nel 1774, Maeda Harunaga, undicesimo daimyo di Kaga, iniziò i lavori di restauro del giardino, facendo costruire anche la Midori-taki ("Cascata verde") e la Yūgao-tei, una casa da tè. Altri miglioramenti vennero apportati nel 1822 quando il dodicesimo daimyo Narinaga fece costruire i tortuosi ruscelli del giardino, con acqua proveniente dal canale Tatsumi. Il tredicesimo daimyo Nariyasu fece aggiungere altri ruscelli ed espandere il lago Kasumi, donando al giardino la sua conformazione attuale. Il giardino fu aperto al pubblico il 7 maggio 1874. Il nome Kenroku-en gli fu dato da Matsudaira Sadanobu su richiesta di Narinaga, ed è un riferimento ai sei attributi del paesaggio perfetto citati nel libro Luòyáng míngyuán jì ("Cronache di famosi giardini di Luoyang"), scritto dal poeta cinese Li Gefei. I sei attributi sono: spaziosità e intimità, artificio e antichità, corsi d'acqua e panorami. Info: www.pref.ishikawa.jp Foto ©CRISTINA ARCHINTO
- Labirinto della Masone | terrimago
Il labirinto più grande del mondo si trova a Fontanellato, nella provincia parmense. Interamente realizzato in bamboo per volere dell'editore Franco Maria Ricci, il Labirinto della Masone nasce per stupire, per meravigliare e per accogliere i visitatori. EMILIA ROMAGNA IL LABIRINTO DELLA MASONE DI LIVIA DANESE In prossimità del borgo di Fontanellato, nella provincia parmense, si trova il labirinto più grande del mondo. Il Labirinto della Masone è stato realizzato dall’editore e collezionista Franco Maria Ricci che sognava con l’amico e collaboratore Jorge Luis Borges di concepire un percorso naturale tortuoso che riflettesse idealmente le incertezze del cammino degli uomini. Nella forma intricata del labirinto si riconosce la complessità del mondo. Rappresenta un simbolo naturale della perplessità e dello spaesamento provato dall’uomo davanti all’ignoto o all’irrazionale. Un dedalo tradizionalmente nasce per confondere, per disorientare. Eppure il Labirinto della Masone è stato concepito con l’intenzione di allontanarsi il più possibile dall’analogia labirinto-prigione. È nato per stupire, per meravigliare e per accogliere. Protagonista indiscusso dell’ambiente è il bambù: leggero ma estremamente resistente, si slancia verso l’alto raggiungendo altezze sorprendenti. I Bambusa sono una specie ricca di valori simbolici, nella tradizione orientale rappresenta metaforicamente la coscienza degli uomini retti che restano saldi davanti alle difficoltà. Alcune leggende associano inoltre il bambù alla perseveranza ed alla pazienza: solo dopo aver sviluppato radici solide e sane la pianta può crescere elegante e rigogliosa. Il Labirinto è composto da più di duecentomila specie diverse che crescono vigorose verso il cielo, formando un dedalo di sentieri e di vicoli ciechi apparentemente indistinguibili. Durante il cammino si può sostare all’ombra di questa pianta sempreverde per accogliere il significato simbolico che lega l’esistenza dell’uomo alle caratteristiche della pianta, ricordando l’importanza di essere flessibili ma resistenti, versatili e pazienti. Intricati giochi di luci e di ombre e alternanze di colori accompagnano il visitatore attraverso un percorso tortuoso e alienante che conduce all’insolita cappella di forma piramidale posta in una piazza al centro del labirinto. Dopo il cammino all’interno del dedalo, si aprono qui spazi più ampi e luminosi che orientano nuovamente l’ospite e lo conducono verso la fine del percorso. Il Labirinto della Masone è un luogo da visitare una volta nella vita, non solo per il sito in sé ma anche per le campagne che lo circondano, genuine, reali e anacronistiche, tanto amate dal fotografo Luigi Ghirri. Livia Danese GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO Info Sito ufficiale Altri giardini botanici e vivai Parco Paterno del Toscano Orto Botanico di Ginevra Orto Botanico di Ginevra Centro Botanico Moutan Orto Botanico di Palermo Roseto di Roma Chicago Batanical Garden Giardino Esotico Pallanca
- Curriculum Cristina Archinto | terrimago
CV Cristina Archinto Biografia Cristina Archinto nasce a Milano. Agli inizi della sua carriera si dedica alla grafica editoriale lavorando per diverse riviste, una passione che nel tempo porterà sempre avanti. Nel 1989 va a vivere a New York e studia fotografia alla Parson School. Una volta rientrata in Italia si concentra sulla fotografia d’architettura; il suo trascorso di grafica l’aiuta nell’equilibrio e nei pesi delle inquadrature. Nel 1999 nasce sua figlia Greta, questo evento le rallenta i ritmi di vita e la porta alla continua ricerca di spazi verdi. Stimolata e attirata fa di questi luoghi il suo nuovo punto focale portandola a concentrarsi sulle atmosfere di un parco, sul dettaglio di un fiore o su un vasto paesaggio. Nel 2002 si trasferisce con la famiglia a Roma per cercare nuovi scenari e una nuova luce. Lì sviluppa la professione di fotografa di giardini collaborando con molte riviste di settore, e pubblicando diversi libri. Allo stesso tempo inizia un percorso più artistico una ricerca sempre incentrata sulle emozioni che la natura ci trasmette esponendo le sue opere in diverse gallerie italiane. I suoi ultimi lavori sono concentrati sul movimento cogliendo luci e restituendo materie e trasparenze nell'equilibrio delle forme e nell'eleganza dei colori. Nel giugno del 2017 ha fondato Terrimago.com una rivista on line sul territorio e sui giardini. https://www.cristinaarchinto.com/ Libri pubblicati 2002 - WILLIAM SHAKESPEARE - PENSIERI PER UN ANNO (Lettere edizioni) “Fotografie poetiche, sensibili e diverse che ritraggono piante e paesaggi accompagnano brani scelti tratti dall’opera shakespeariana scandendo un calendario molto particolare di giorni che passano, ma anche il nostro tempo interiore, i temi della vita, della morte, delle passioni umane” 2004 - VILLA BORGHESE - IL SILENZIO DEL PARCO (Skira) “80 suggestive immagini che raccontano il parco di Villa Borgese; un racconto che si snoda tra I viali, i giochi d’acqua, le statue, i fiori, le piante, e gli angoli più sconosciuti del “più bel giardino di Roma”. “Le bellissime immagini di Cristina Archinto colgono le atmosfere incantate, gli angoli più suggestivi e il silenzio più prezioso parco quando si trasforma in un rifugio per molti.” 2006 - IL GIARDINO CHE VORREI (Electa) “Attraverso immagini uniche capaci di rendere la grazia più timida anche alle piante più umili Cristina Archinto ci accompagna in giro per varie tipologie di giardini e paesaggi.” Una fotografa, capace di cogliere il fascino sia di un paesaggio quotidiano e accessibile a tutti e sia di certe tessiture colte nel loro momento di grazia, e che ci insegna a “vederci” intorno e a come in fondo basti poco per “fare e coltivare”un bel giardino. Un libro che ci sussurra che la bellezza della natura si nasconda ovunque, anche dove meno ce l’aspettiamo” 2008- ROMA E I SUOI LUOGHI D’ACQUA (Babalibri) Guida fotografica di Roma per giovani viaggiatori 2013 - GUARDA! APPUNTI DA UN FINESTRINO (Canneto editore) Un libro incentrato sui paesaggi italiani realizzato da un treno ad alta velocità 2020 - Orti Botanici d'Europa Un viaggio tra storia scienza e cultura (Terrimago edition) link
- Orto botanico Palermo| Terimago
L’Orto Botanico di Palermo venne inaugurato nel 1795 con lo scopo di contribuire allo sviluppo delle scienze botaniche e mediche nella città siciliana. Nel settore più antico dell'Orto le piante sono ancora disposte secondo il sistema di classificazione di Linneo. SICILIA Orto Botanico di Palermo DI MARGHERITA LOMBARDI L’Orto Botanico di Palermo sorge accanto a Villa Giulia, confinante con il quartiere Kalsa. Nel 1779, per accompagnare la neonata Accademia di Regi studi, che aveva annessa la cattedra di Botanica e Materia medica, era stato creato un piccolo orto botanico, adiacente alla Porta di Carini, ma divenuto insufficiente per le esigenze della cattedra, nel 1786 fu trasferito nella sede attuale. Tra il 1789 e il 1795 vennero costruiti gli edifici principali, il Gymnasium e i due corpi laterali del Tepidarium e del Calidarium, in stile neoclassico, progettati dall’architetto francese Leon Dufurny. In origine il giardino, arricchito con vasche e fontane e un magnifico Aquarium, era diviso in appezzamenti rettangolari per dividere le collezioni secondo il sistema di Linneo, ma nei primi anni dell’Ottocento venne modificato. L’Orto fu ancora ingrandito in periodi successivi, e vi venne realizzato per esempio un boschetto di piante esotiche e il Giardino d’inverno, in una serra di grandi dimensioni. Negli anni ’30 del Novecento acquisì l’aspetto definitivo, con la zona dell’ingresso suddiviso in aree regolari e la zona meridionale solcata da sentieri più articolati. Le collezioni. L’Orto Botanico di Palermo ospita, in totale, 12.000 specie, provenienti principalmente dal Sud Africa, dall’Australia e dal Sud America. Tra queste, vi sono il gigantesco esemplare di Ficus macrophylla, simbolo dell’Orto, la collezione di piante palustri che comprende loti (Nelumbum nucifera), ninfee e papiri (Cyperus papyrus); le palme del genere Phoenix spp., Cicadee; specie appartenenti alle famiglie Moracee, Mimosacee, Rutacee, Euphorbiacee, Aizoacee, Asclepiadacee, Liliacee, Crassulacee e Cactacee, agrumi e una profumata raccolta di plumerie, pianta molto diffusa a Palermo tanto quanto il nespolo lo è sui terrazzi e nei giardini delle città settentrionali. Tra le curiosità botaniche vi sono Sapindus mukorossi, Pimenta acris, Coffea arabica, Ficus sycomorus, Mimosa spegazzinii, Crescentia alata, Saccharum officinarum, Manihot utilissima e Carica papaya. All’Orto Botanico di Palermo si deve l’introduzione e diffusione nei paesi del Mediterraneo di Citrus deliciosa ed Eriobotrya japonica. Si possono ammirare consistenti raccolte di piante essiccate che si conservano nell’Herbarium Mediterraneum. Ogni anno viene pubblicato un catalogo dei semi di piante sia spontanee della Sicilia che coltivate nell’Orto, disponibili per scambi con istituzioni scientifiche di tutti i continenti. La pianta più alta dell’Orto è un’annosa Araucaria columnaris . Spettacolare il viale racchiuso da grandi esemplari Ceiba speciosa (già Chorisia speciosa). Margherita lombardi GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO Info: Italian Botanical Heritage Italian Botanical Trips Orto Botanico di Palermo Altri giardini botanici e vivai Orto Botanico di Ginevra Orto Botanico di Ginevra Roma Roseto di Roma Chicago Chicago Batanical Garden Giardino Esotico Pallanca Parco Botanico Villa Rocca Water Nursery Giardino Botanico di Hanbury
- Giardini Botanici di Villa Taranto| terrimago
I giardini botanici di Villa Taranto sono una vera galleria botanica, con migliaia di specie di piante e fiori provenienti da ogni luogo. Eucalipti, azalee, rododendri, magnolie, camelie, dalie, tulipani, fiori di loto, eriche, ortensie, numerose piante tropicali ed esemplari anche rari. PIEMONTE I GIARDINI BOTANICI DI VILLA TARANTO Passeggiando tra l’estetica e la botanica La fontana dei putti Fotografie Cristina Archinto Testo Carla De Agostini N el 1930 il capitano di origine scozzese Neil Boyd Watson McEacharn, spesso in Italia, legge un annuncio sul Times e scopre che la proprietà della Contessa di Sant’Elia a Verbania è in vendita. Intrigato va subito a vederla, da più di due anni è alla ricerca di terreni per la realizzazione di un suo grande giardino. Piacevolmente colpito la compra, e l’anno seguente si stabilisce nella villa sul lago Maggiore. Per prima cosa le cambia il nome: da La Crocetta a Villa Taranto, in onore di un suo antenato nominato duca di Taranto da Napoleone Bonaparte e poi inizia un duro lavoro di ristrutturazione del giardino al fine di creare dei microclimi diversificati ma al tempo stesso paesaggisticamente armoniosi e originali. I giardini terrazzati I lavori iniziano sotto la guida del giardiniere Henry Cocker e il risultato si contraddistinguerà per le sfumature cromatiche, gli specchi d’acqua, le terrazze, le statue, che intrecciano parti prevalentemente all’inglese con ispirazioni all’italiana. In poche settimane il parco viene liberato di circa duemila alberi infestanti, come bambù e robinie; viene lasciato solo un castagno piantato nel XVIII secolo a testimonianza della nascita del parco, poche conifere, qualche magnolia e due antiche qualità di camelia. Dopo inizia il lavoro di sbancamento del terreno per creare le le terrazze coi giochi d’acqua. Vengono acquistati altri lotti di terreno vicini, fino ad arrivare a 16 ettari, e fatti costruire muri a secco e ponticelli con pietra locale. Il precedente giardino all’italiana della Contessa è sostituito da un ampio prato il cui verde brillante è dato tutt’ora dall’utilizzo di una graminacea perenne, l’Agrostis stolonifera , scelta per la sua capacità di impedire alle erbe infestanti di crescere. Ai margini del prato si sceglie di piantare aiuole con fiori sgargianti che alternano stagionalmente diverse fioriture e alberi come il ciliegio giapponese, le grandi magnolie o le azalee. La zona delle succulenti I giardini terrazzati Oggi Villa Taranto è una vera e propria galleria d’arte botanica, con migliaia di specie di piante e fiori provenienti da ogni luogo: le 8.500 specie censite dallo stesso McEacharn nel 1963 oggi sono quasi 20.000. Eucalipti, azalee, rododendri, magnolie, camelie, dalie, tulipani, fiori di loto, eriche, ortensie, numerose piante tropicali ed esemplari anche rari sono distribuiti in zone tematiche quali il Viale delle Conifere, la Valletta con ginestre arboree e aceri, il Giardino all’Italiana, il Giardino delle Eriche, il Labirinto delle Dalie, le serre delle piante tropicali dove si coltivano la Victoria Cruziana e Amazonica, arrivate alla Villa nel 1956 dall’orto botanico di Stoccolma. Le piante del Capitano provengono da ogni parte del mondo, in modo particolare dai ricchi vivai inglesi, dai giardini reali di Kew, di Edimburgo e della Royal Horticultural Society. Ma anche da Francia, Germania, Spagna, Europa Orientale, Giappone, Sud Africa, Stati Uniti e Australia. A cui si aggiungono floricoltori italiani, come la Contessa Senni di Roma, fondatrice della società italiana “Amici dei fiori”, che gli regala numerose varietà di iris e il principe Borromeo che nel 1949 dona alla Villa due rare piante di Metasequoia glyptostroboides. La felce arborea Dicksonia antarctica Passeggiando per Villa Taranto non si può fare a meno dal rimanere incantatati da piante mai viste prima, come la bellissima Pterostyrax hispidus, conosciuta comunemente come l’albero delle epaulettes, poiché i fiori ricordano le spalline che ornavano i vestiti dei militari, i cui bellissimi fiori a grappolo, ondeggiando nella brezza, attirano moltissimi uccelli ed emanano un delicato profumo. O come l’Emmenopterys henryi dai fiori bianchi, originario delle aree temperate della Cina centrale e meridionale e del Vietnam, della famiglia delle Rubiaceae , un raro albero che può arrivare anche a mille anni. Inoltre nella zona delle felci si possono ammirare le Dicksonia antarctica, felci arboree originarie dell'Australia orientale, Tasmania e Nuova Zelanda che ricordano delle ballerine. Passeggiare per il giardino di Villa Taranto è qualcosa che veramente lascia il segno e ti porta attraverso forme, fragranze in giro per il mondo in un contesto sempre inaspettato. Pterostyrax hispidus LA FIORITURA DEI RODODENTRI I fiori di rododendro sono famosi per la loro colorazione vivace, apprezzati fin dall’antica Grecia, dove erano conosciuti come “albero delle rose", da rodon , rosa e dendron , albero, possono essere piatti, a campana o ad imbuto e in alcune varietà, possono essere leggermente profumati. Molto affascinante è la loro fioritura: da ogni gemma vengono prodotti più fiori, in genere sei o sette, ognuno dei quali è composto da cinque petali e da l’antera, che contiene il polline. Questo raggruppamento è tecnicamente un corimbo, ossia un mazzo di boccioli regolare alla fine del ramo. Il termine deriva dal latino corymbus , “infiorescenza a grappolo”, preso in prestito dal greco kórymbos , “parte più alta, cima”. Questo fenomeno permette ai fiori sbocciati di essere tutti alla stessa altezza come ad esempio il sambuco. Il rododendro fa parte della famiglia delle Ericaceae , come le azalee, ed è una pianta originaria dall’Oriente che ama il fresco e l’umido. Le notizie più antiche sull'esistenza del rododendro ci portano indietro al 400 a.C., tra i soldati di Senofonte che, di ritorno dalla Babilonia, accampati tra le colline dell'Armenia, finirono quasi avvelenati dal miele fatto con il nettare della specie selvatica asiatica. La prima specie spontanea poi coltiva è la Rhododendron hirsutum, anche conosciuta come “rosa alpina” di cui si hanno notizie già dal 1500. GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO LINK Sito ufficiale Altri GIARDINI e PARCHI I giardini di Villa Melzi I giardini di Villa Melzi Parco giardini di Sicurtà Parco giardini di Sicurtà Gairdino di Villa Lante Villa Lante parco del Flauto Magico Parco Flauto Magico Bomarzo Parco Villa la Grange Labirinto della Masone Giardino di Kenroku-en
- Palme in Liguria | Terrimago
Comparse oltre 70 milioni di anni fa, le circa 2.800 specie di palme che compongono la famiglia delle Arecaceae sono diffuse in tutti i continenti. Prediligono gli ambienti tropicali e subtropicali ma si adattano anche ai climi più temperati. LIGURIA Palme Comparse oltre 70 milioni di anni fa, le circa 2.800 specie di palme che compongono la famiglia delle Arecaceae sono diffuse in tutti i continenti. Prediligono gli ambienti tropicali e subtropicali ma si adattano anche ai climi più temperati. In Italia si considerano endemica la Chamaerops humilis, o palma nana, e rustica la Phoenix dactylifera, la cui presenza ha presto contrassegnato le città di mare per la capacità di opporsi al vento, l’indifferenza alla sabbia e alla salsedine; nella Bordighera votata al patrono Ampelio, il santo che la leggenda vuole sia stato il primo a recare in Italia i preziosi datteri, l’artigianato delle palme intrecciate per le feste religiose risale al Medioevo e l’impianto dove furono coltivate, il più settentrionale dei palmeti storici acclimatati. In Italia si considerano endemica la Chamaerops humilis, o palma nana, e rustica la Phoenix dactylifera , la cui presenza ha presto contrassegnato le città di mare per la capacità di opporsi al vento, l’indifferenza alla sabbia e alla salsedine; nella Bordighera votata al patrono Ampelio, il santo che la leggenda vuole sia stato il primo a recare in Italia i preziosi datteri, l’artigianato delle palme intrecciate per le feste religiose risale al Medioevo e legata ai riti della fertilità e della rinascita, la vasta simbologia associata alle palme non è estranea alle pratiche ancestrali di domesticazione mirate ad assicurarne i frutti. Secondo alcuni filologi, palma deriva dalla radice pan, che in sanscrito significa mano e ne identifica la tipica forma fogliare. Nell’uso latino palma ha poi generato palmo: insieme mano e misura, donde le espressioni “ricevere la palma” o “in palmo di mano” a indicare gli onori tributati ai vittoriosi. Per altri invece la radice discende dal semitico pal, da cui il toponimo Palmyra, la mitica città siriaca approdo dei carovanieri, e riecheggia il termine phoenix utilizzato dagli antichi greci per riferirsi tanto alla pianta quanto alla rossa porpora, alla fenice che risorge dalle proprie ceneri e ai fenici, il popolo che gli egizi collocavano sulle sponde del Golfo Persico: in quelle oasi da cui palme e datteri appunto provengono. Rami di palma accolgono Gesù all’ingresso di Gerusalemme, in segno di trionfo, di giustizia e di pace; nella liturgia inizieranno a confondersi con l’ulivo, come nell’uso hanno unito e ibridato le culture contadine delle opposte sponde del Mediterraneo. Alessandra Valentinelli Le palme in Liguria Foto ©CRISTINA ARCHINTO Altri AMBIENTi E BOTANICA Vie cave opuntia fiorita Opuntia Alberi Caño Cristales Palmeti Palmeti Caldara di Manziana Terra scoscesa Tevere