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- Forest Bathing nel Parco
Una sezione per raccontare tutti quello che succede legato ai giardini, come luoghi o come protagonisti. Mostre, eventi, visite, fiere o anche corsi tutti rigorosamente nell'ambito dei giardini e del verde. Iscrivetevi alla newsletter se volete rimanere aggiornati, e se invece volete condividere un vostro evento scriveteci qui e diffonderemo le informazione sul sito e sui nostri social. < Back EVENTO Castello di Miradolo Forest Bathing nel Parco Anche in inverno, quando la natura riposa, sperimentiamo i benefici di un’immersione in natura e scopriamo gli effetti della vicinanza degli alberi sulla nostra salute attraverso pratiche esperienziali come la camminata consapevole , l’abbraccio agli alberi , la respirazione con il bosco , l’ascolto. La “Forest Bathing” agisce sulla salute fisica e sociale migliorando la connessione con la natura, le relazioni interpersonali e la coesione sociale.È una pratica nata in Giappone, diffusa dagli anni Ottanta, fa parte di un programma sanitario nazionale istituito per ridurre i livelli di stress della popolazione. Prende il nome di Shinrin-yoku che in italiano significa “godere a pieno dei benefici dell’atmosfera forestale” (lavarsi, rigenerarsi, rilassarsi). Un “bagno nella foresta” per entrare dolcemente in natura ed aprirsi ai suoi suoni, profumi, colori, ed alle sensazioni piacevoli che questi creano dentro di noi. Un’esperienza immersiva nel verde, positiva sia per la mente sia per il corpo. L’incontro è a cura di Fabio Castello , Counselor con formazione Gestalt-Bodywork / Istruttore CSEN di Forest Bathing/ Performer. Dal 2020 promuove la Forest Bathing, conduce pratiche meditative e di benessere in natura e nei parchi cittadini e collinari di Torino. SCHEDA EVENTO Castello di Miradolo San Secondo di Pinerolo (TO) Forest Bathing nel Parco Date 26 gennaio 2023 4 giugno 2023 LINK
- Villa Pizzo | terrimago
La storica e nobile Villa Pizzo, situata nel golfo di Cernobbio, affaccia sul lago di Como. È circondata da un giardino su terrazzamenti caratterizzato da un celebre Viale dei Cipressi, fontane barocche e fiori profumati che la rendono la location perfetta per matrimoni e ricevimenti. LOMBARDIA VILLA PIZZO DI ALESSANDRA VALENTINELLI Villa Pizzo, che prospetta sul lago di Como con una lunga serie di terrazzamenti, sembra una logica prosecuzione di Villa d'Este, ma il suo territorio appare quasi intagliato nella montagna. Nelle aree più vicine agli edifici principali, il giardino si sviluppa con geometrici vialetti allungati fra aiuole, siepi potate in arte topiaria e fontane barocche, sfociando poi nel celeberrimo e lungo Viale di Cipressi che connota la villa anche dal lago. Verso Moltrasio, il giardino si fa sempre più ricco e dotato di specie arboree ad alto fusto, intersecato da un sistema di vialetti e sentieri minori, ai cui margini vi sono una grotta d'acqua, vasche, corsi d'acqua e la “Fontana di Alessandro Volta”, inserita tra le false rovine di un tempietto classico. Villa Pizzo è una delle più antiche dimore del lago di Como. Essa prende il suo nome dallo sperone roccioso su cui sorge: Piz in dialetto comasco significa proprio punta o sporgenza. A metà strada tra Moltrasio e Cernobbio, Villa Pizzo e tutti gli edifici ad essa annessi sono pienamente visibili solo dal lago. I terreni per la costruzione della villa furono acquistati nel XV secolo dalla famiglia Mugiasca, che custodì gelosamente Il Pizzo per oltre quattrocento anni. Tra i momenti cruciali della proprietà dei Mugiasca, si ricorda la peste del 1629, di manzoniana memoria, che vide il Pizzo divenire rifugio di molti uomini e donne in fuga dalle città infettata. Fu in quest’occasione che, sfruttando la manodopera dei tanti presenti, vennero eseguiti i terrazzamenti su cui oggi si estende il grande parco di Villa Pizzo. Tra gli illustri personaggi che durante la proprietà Mugiasca frequentarono la Villa vi fu anche il noto scienziato Alessandro Volta, ricordato da un monumento che i proprietari fecero costruire in seguito alla morte avvenuta nel 1827. Si tratta del primissimo monumento storico dedicato a Volta. Quando i Mugiasca si estinsero, fu Ranieri d’Asburgo, viceré del Lombardo-Veneto, ad acquistare la proprietà. Egli trovò al Pizzo l’ideale luogo di sosta e rifugio dalle complesse vicende politiche dell’epoca. Al Pizzo il viceré Ranieri non arrivò solo, ma accompagnato dal noto architetto paesaggistico Villoresi, già progettista della Villa Reale di Monza, che diede un assetto unico e definitivo al grande parco intorno alla Villa. In seguito alle turbolenti vicende politiche di fine Ottocento che si concretizzarono nei Moti del 48, il viceré lasciò la Villa che venne acquistata dall’affascinante madame parigina Elise Musard, che diede un riconoscibilissimo tocco femminile alla Villa tingendola di rosa, così come è rimasta sino ad oggi. Quando Madame Musard lasciò tragicamente la Villa, la famiglia Volpi-Bassani la acquistò e la visse rispettando le scelte architettoniche e stilistiche del passato e aggiungendo degli elementi di grande pregio che ancora oggi si possono ammirare nel parco come il Mausoleo di famiglia, costruito da noto architetto Luca Beltrami e la grande darsena, che si affaccia sul lago regalando una meravigliosa veduta panoramica. L’architettura semplice e geometrica della Villa, con la sobrietà dei suoi decori che ben si intersecano con l’irregolarità e la varietà di forme, colori e stili dei giardini, uniti all’unicità della storia e delle vicende che in Villa Pizzo si susseguirono nel corso dei secoli, fanno del Pizzo un luogo unico sul lago di Como. Gallery Foto ©CRISTINA ARCHINTO Links VILLA PIZZO Altri GIARDINI e PARCHI Giardini Villa la Pergola Villa Lante Labirinto della Masone Giardino di Kenroku-en Giardino dell'impossibile Giardino di Ninfa Castello di Masino Parchi di Parigi
- Papaveri e api | terrimago
è per attirare le api che il colore brillante dei petali è diventato un'importante variabile di adattamento. Il papavero ha sviluppato strategie tra le più affascinanti e inaspettate perché le api non percepiscono il colore rosso sgargiante visibile all’occhio umano ma sono attratte dall’ultravioletto. BOTANICA PAPAVERI E API Perché le api non impollinano i fiori rossi tranne i papaveri? di CARLA DE AGOSTINI L a storia dell’evoluzione è una storia di relazioni tra le specie, oltre che tra le specie e l’ambiente. Quando annusiamo un fiore, per esempio, in realtà sentiamo un messaggio rivolto agli insetti, un richiamo per avvertirli che c’è del nettare che li aspetta in cambio del trasporto del polline. E così vale anche per la scelta dei colori. I fiori come li conosciamo noi sono relativamente recenti. Le Angiosperme, ossia le piante che hanno fiori e frutti da seme, sono apparse tra i 135 e i 140 milioni di anni fa e all’inizio non erano così colorate: i fossili suggeriscono che fossero strutture semplici, dall’aspetto opaco, senza molto pigmento, giallo pallido o al massimo verde. Oggi fatta eccezione per felci, conifere, cicadi e muschi la maggioranza delle comunità vegetali appartiene alle Angiosperme. Piano piano, con la comparsa dei fiori si assiste anche alla nascita dei colori vivaci odierni, un meccanismo sempre più sofisticato per favorire l’impollinazione non solo mediante il vento o l'acqua ma richiamando insetti. Molti fiori si sono così evoluti per adattarsi alle esigenze e alle capacità delle api. Al loro lavoro si deve l'80% dell'impollinazione, senza tale attività non ci sarebbero nemmeno mele, mirtilli, ciliegie, avocado, cetrioli, mandorle, cipolle, pompelmi, arance, zucche e tanto altro. Ed è per attirare le api che il colore brillante dei petali è diventato un'importante variabile di adattamento. Il papavero ha sviluppato strategie tra le più affascinanti e inaspettate perché le api non percepiscono il colore rosso sgargiante visibile all’occhio umano ma sono attratte dall’ultravioletto. L’uomo percepisce il colore grazie al pigmento dell'oggetto e alla parte di luce che questo riflette. Nelle api il campo visivo è invece un mosaico di coni che gli consentono di riconoscere una gamma di colori diversa, aiutano l'insetto a rimanere in equilibrio durante il volo e a individuare precisamente ogni fiore intorno a sé anche a grandi velocità. La gradazione rossa non è percepibile all’occhio dell’ape, e le ricerche hanno dimostrato che distingue solo quattro colori: il giallo (arancio, verde giallastro), il verde bluastro, il blu e l’ultravioletto. Perciò i fiori che ai nostri occhi sono rosso vivo, come la Violaciocca rossa o i Garofani della Cina, non vengono fecondati dalle api, ma dalle farfalle diurne. Mentre fiori come l’erica, il rododendro, il ciclamino o il trifoglio hanno una tonalità porpora che le api recepiscono come colore blu, o un colore bianco percepito come verde bluastro. Il papavero, tuttavia, è uno dei pochi fiori rossi che più attrae le api. Questo perché nei suoi petali le cellule pigmentate si dispongono in modo da creare degli spazi pieni d’aria dove la luce viene dispersa consentendo ai raggi UV di essere riflessi, e di far percepire la gamma ultravioletto all’ape che quindi vi si posa e lo feconda. Tale strategia evolutiva conferma lo stretto legame tra un fiore e il suo impollinatore. Si crede infatti che i papaveri europei abbiamo adattato la propria capacità di segnalare l’ultravioletto man mano che colonizzavano le regioni del nord, così oggi in Europa i papaveri sono impollinati dalle api, che vedono bene le radiazioni ultraviolette, mentre in Medio Oriente lo sono dai coleotteri, che vedono perfettamente il rosso. Negli anni l’interesse per le api impollinatrici è aumentato con quello per la ricchezza e la diversità del mondo naturale, è la cosiddetta biodiversità la cui perdita è motivo di crescente preoccupazione. È infatti la varietà degli organismi a permettere agli ecosistemi di resistere alle perturbazioni dell’ambiente o del clima, mentre la diversità genetica che si ottiene con l’impollinazione incrociata tra diverse specie garantisce una maggiore e più vitale quantità di semi. Oggi la moria delle api è causata soprattutto dalle monocolture, che limitano la scelta degli impollinatori, e dall’abuso dei pesticidi che uccidono gli insetti o, nel migliore dei casi, ne alterano le capacità. I benefici che l’impollinazione invece regala alla società sono fondamentali per la vita e non dovrebbero assolutamente essere sottovalutati. Per fortuna oggigiorno nella società e nell’individuo l’interesse a questi processi sta via via crescendo e questo porterà, si spera, a salvare gli impollinatori ed a godere di prati sempre più colorati. GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO Altri AMBIENTi E BOTANICA Vie cave opuntia fiorita Opuntia Alberi Caño Cristales Palmeti Palmeti Caldara di Manziana Terra scoscesa Tevere
- Villa Lante | terrimago
I giardini di Villa Lante in provincia di Viterbo sono caratterizzati dalla presenza di giochi d'acqua, cascate e fontane immersi nella natura. LAZIO VILLA LANTE DI EMANUELA GNECCO Villa Lante è un ecosistema, non un semplice giardino. Tra le dimore storiche ed i castelli del viterbese, rappresenta al meglio la moderna concezione del rapporto tra architettura e ambiente, tra artificio e natura, tra flora, sculture ed acqua. Lo racconta in proposito un affresco nella loggia della palazzina Gambara che mescola in modo armonico la geometria di vasche e viali, terrazzamenti e fonti con un antico scenario boschivo, frutteti ed aree coltivate a vigne. Per questo Villa Lante interpreta alla perfezione la fase manierista del Rinascimento italiano. Un luogo capace di stupire per il suo rigore e per la sua organizzazione razionale, per i dettagli e i simbolismi nel rispetto del naturale andamento paesaggistico. Qui l’acqua è la protagonista assoluta, incanalata attraverso un complesso sistema idraulico che, dai Monti Cimini, segue un percorso dapprima turbolento per poi scendere a salti come un torrente e placarsi definitivamente nel “parterre d’eau”. Villa Lante è situata nella cittadina di Bagnaia, a pochi chilometri da Viterbo, è sorta nel Cinquecento su un’antica riserva di caccia o “barco”. Furono due uomini di chiesa succeduti sul soglio vescovile della città, Gian Francesco Gambara prima e Alessandro Montalto poi, a dedicarsi alla costruzione di Villa Lante, uno dei più famosi esempi di giardino all’italiana nel mondo. Il cardinale Gambara – che aveva un gusto tutto moderno per il vivere all'aperto - si ritiene abbia chiamato uno dei massimi architetti dell’epoca, Jacopo Barozzi detto "Il Vignola", che progettò una coppia di edifici dalle linee essenziali in perfetto stile manieristico. Le due palazzine, perfettamente speculari, sono diversamente affrescate all’interno per celebrare simboli e devozioni dei due committenti ecclesiastici che qui vollero esaltare le loro virtù ed il proprio potere. Cent’anni dopo la villa passerà al duca Ippolito Lante della Rovere, da qua il nome, fino all’acquisizione nel 1970 da parte dallo stato. Fiore all’occhiello di Villa Lante sono i giardini che si estendono su un’area di 22 ettari, compreso il bosco di querce, aceri, carpini, allori e lecci. Il giardino formale, delimitato da un muro di cinta, coi suoi giochi d'acqua, cascate e i grottini sgocciolanti architettonicamente si ispira al Belvedere in Vaticano e per il suo uso dell’acqua a Villa d'Este a Tivoli, infatti sarà proprio il genio di Tommaso Ghinucci da Siena architetto ed ingegnere idraulico a realizzare anche questo sistema idrico. I sedici metri di dislivello sono suddivisi in tre piani distinti raccordati tra loro da fontane e scalinate, simbolicamente rappresenta il racconto della discesa dell'umanità dall'età dell'oro, come narrato da Ovidio nelle Metamorfosi. Le forme agili delle sculture in peperino, degli obelischi e delle colonne che decorano le magnifiche fontane sono presenti a simboleggiare i quattro elementi naturali: terra, aria, fuoco e acqua. Nel parterre inferiore la grande fontana “dei Mori” del Gianbologna che costituisce l’atto conclusivo del percorso simbolico: il trionfo della mente umana sulla natura rappresentato dall’acqua che riesce finalmente a trovare la sua staticità in forma geometrica. Emanuela Gnecco GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO LINK Sito ufficiale TREE WATCHING Altri GIARDINI e PARCHI Bomarzo Parco Villa la Grange Labirinto della Masone Giardino di Kenroku-en Giardino dell'impossibile Giardino di Ninfa Villa Pizzo
- L’operazione fotografica
Ugo MulasL’operazione fotografica L’operazione fotografica Ugo Mulas Gli occhi, questo magico punto di incontro fra noi e il mondo, non si trovano più a fare i conti con questo mondo, con la realtà, con la natura: vediamo sempre di più con gli occhi degli altri. Potrebbe essere anche un vantaggio ma non è così semplice. Di queste migliaia di occhi, pochi, pochissimi seguono un’operazione mentale autonoma, una propria ricerca, una propria visione. Ugo Mulas, La fotografia , 1973 La mostra Ugo Mulas. L’operazione fotografica , presentata alla stampa martedì 28 marzo 2023, in occasione dell’inaugurazione del nuovo centro Le Stanze della Fotografia, è realizzata in collaborazione con l’Archivio Mulas e curata da Denis Curti, direttore artistico del nuovo spazio, e Alberto Salvadori, direttore dell’Archivio. Il progetto coincide con i 50 anni dalla scomparsa dell’autore, avvenuta il 2 marzo 1973. 296 opere, tra cui 30 immagini mai esposte prima d’ora, fotografie vintage, documenti, libri, pubblicazioni, filmati offrono una sintesi in grado di restituire una rilettura complessiva dell'opera di Ugo Mulas (Pozzolengo, 1928 – Milano, 1973), fotografo trasversale a tutti i generi precostituiti, ripercorrendo l'intera sua produzione. Dal teatro alla moda, dai ritratti di amici e personaggi della letteratura, del cinema e dell’architettura ai paesaggi, dalle città alla Biennale di Venezia e ai protagonisti della scena artistica italiana e internazionale, in particolare della Pop Art, fino al nudo e ai gioielli. Per la prima volta vengono presentati al pubblico così tanti ritratti di artisti e intellettuali, molti dei quali mai esposti prima, come quelli di Alexander Calder, Christo, Carla Fracci, Dacia Maraini e Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Arnaldo Pomodoro, George Segal, per citarne alcuni. Le stanze della fotografia Venezia Venezia, VE, Italia 29 marzo 2023 / 6 agosto 2023 LINK
- Hanbury | terrimago
I Giardini Botanici Hanbury rappresentano uno dei più bei giardini d'Italia e un'eccellenza nel campo degli studi botanici. I terrazzamenti digradanti tipici della Liguria ospitano un raro accostamento di piante che alternandosi fioriscono tutto l'anno. LIGURIA VENTIMIGLIA Giardini Botanici di Hanbury DI ALESSANDRA VALENTINELLI Giardini Hanbury oggi non racchiudono solo un interesse scientifico o un indubitabile godimento estetico: offrono un peculiare spaccato di storia degli studi botanici. Le attuali collezioni riflettono infatti l’avvicendarsi dei singoli curatori, i legami consolidati con gli Orti botanici di mezzo mondo, le sensibilità maturate dai proprietari nei lunghi anni di permanenza a La Mortola. Per questo il calendario delle fioriture abbraccia l’alternanza dei mesi ma anche il susseguirsi delle stagioni culturali di acquisizione delle raccolte. Nati come stazione per l’acclimatazione di piante esotiche, i Giardini Hanbury conservano i propositi originari negli esemplari più vetusti del patrimonio arboreo: il Pinus canariensis , l’Araucaria del Queensland, la Casimiroa dai frutti commestibili, importati tra il 1868 e il 1872, testimoniano le ricerche di farmacopea del fratello di Thomas, il botanico Daniel Hanbury. Vicino al Palazzo si passeggia in quello che, a tutti gli effetti, rappresenta l’album vivente dei viaggi, dei ricordi e delle relazioni intessute dagli Hanbury ai vari angoli del pianeta: il melograno che già si addossava alla loggia, la Banksia che Thomas reca con sé dalla Cina, la Samuela, la varietà di Yucca scoperta da William Trelease nei deserti messicani nel 1900; il Cupressus lusitanica donato nel 1869 dal direttore del Jardin des Plantes di Antibes Gustave Thuret misurava nel 1912, 16 metri d’altezza e 1,7 di circonferenza, oggi è alto 25 e ha un tronco di 5. Così lungo la “Topia”, la pergola che adornava il parco dei marchesi Orengo, prosperano tra glicini, clematis, bignonie e thunbergie, le Semele delle Canarie, l’Homalocladium delle Isole Salomone, la Tetrastigma vietnamita. La parte più acclive del Parco, a monte del Palazzo, è la più fedele al progetto delineato da Ludovico Winter su indicazioni di Thomas Hanbury, anche in ragione dei vincoli costituiti dal sistema di irrigazione e dai muri di consolidamento realizzati all’acquisto della tenuta, per attrezzare i vecchi terrazzamenti. Scendendo a levante si attraversa il versante delle succulente, fulcro degli impianti di Aloe africane curati da Kurt Dinter prima e accresciuti poi da Alwin Berger con le cactacee americane: 325 specie di Aloe nei tipi colonnari delle A. principis , striscianti delle A. mitriformis o flessuosi delle A. striatula , il rosa tappezzante del Drosanthemum , oltre cento varietà di Agavi e cacti, tra cui spiccano le Yucca australis e elephantipes, il carminio acceso della Schotia brachypetala , le Beaucarnea stricta e recurvata . Percorrendo invece verso ovest la “Grande route”, la carrabile tracciata da Winter, si incrociano il palmeto e le specie più rare selezionate dagli Hanbury: i banani dell’Africa tropicale Musa paradisiaca , maurelii e cavendishi , le palme Brahea dulcis e armata, il Microcitrus un agrume selvatico australiano, il Chiranthodendron pentadactylon trovato a metà Ottocento in Guatemala, la Ginkgo biloba all’epoca reperibile solo nella Cina interna, le Chicas revoluta e le Macrozamia , due famiglie risalenti al Mesozoico, l’Ephedra altissima sahariana , la sempreverde cilena Quillaja saponaria . L’effetto che si otteneva dall’accostamento di specie diversamente adattate al clima locale è l’estendersi delle fioriture all’intero anno solare; è tuttora uno spettacolo che si ripete al volgere dei mesi ma che si può cogliere in ogni momento nei terrazzi digradanti verso la villa: passando dalle piante subtropicali del giardino delle “Quattro stagioni” che sbocciano dall’inverno all’estate inoltrata, al giardino giapponese che accoglie iris, narcisi e pruni, al pianoro delle rose e peonie, sino al viale che la fronteggia e ospita, assieme alle aromatiche, a salvia, timo, lavanda o maggiorana, le fragranze odorose di calicanti, gelsomini, caprifogli e aranci amari. Appena a valle della casa, ai lati dei viali che immettevano inizialmente ai Giardini e la “Vista Nuova”, l’ingresso panoramico aperto da Dorothy Hanbury nel 1920, si stende la Foresta australiana con i suoi Eucalyptus camaldulensis , citriodora e sideroxylon , le Melaleuca preissiana e cuticularis , la sterculiacea Brachychiton discolor . Oltre la strada romana Julia Augusta che taglia il giardino da est a ovest, si giunge alla Piana; nelle lettere di Thomas alla moglie Katharine, è descritta selvatica, a macchia mediterranea, con al centro l’uliveto plurisecolare appartenuto agli Orengo. La zona bassa mostra i maggiori interventi di risistemazione intrapresi da Lady Dorothy alla scomparsa dei suoceri. Con l’aiuto del marito, Cecil Hanbury erede della proprietà, del padre, l’architetto paesaggista John Frederic Symons-Jeune, e del fratello Bertram Hanmer Bunbury Symons-Jeune, vivaista di ambienti rocciosi, si arricchisce di antichi cultivar delle valli liguri, agrumi e frutti esotici. Accanto al Viale degli Ulivi che conduce al mare, sono disposti limoni, pompelmi, mandarini, clementine e le innumerevoli varietà di Citrus : cedri, chinotti, bergamotti, aranci dolci e amari; sul margine est sono impiantati fruttiferi sudamericani e neozelandesi, cotogni cinesi, peschi e nespoli giapponesi, i domestici sorbi, noccioli, giuggioli e pistacchi. Vicino alla costa infine, tra i pini, le cisti e il campo delle salvie, si incontrano l’Acacia karroo dalle grandi spine e un giovane maschio della messicana Olmediella betschleriana , con la femmina all’Orto botanico di Napoli, gli unici esistenti in Europa. Dopo la guerra e le distruzioni degli opposti fronti francese e tedesco, Dorothy nel 1960 vende i Giardini allo Stato italiano che li assoggetta al vincolo di tutela storico-paesistica, ne cede nel 1983 la custodia all’Università di Genova e nel 2000 vi istituisce l’Area Marina protetta. Con 2.500 taxa tra vecchi e nuovi impianti, la Facoltà di Botanica gestisce ora anche una Banca del Germoplasma per la conservazione della biodiversità endemica, a rischio nelle Alpi liguri: prosecuzione ideale degli Erbari stilati dai primi giardinieri e curatori, é il cerchio che si chiude, legando i migliori auspici degli Hanbury alla ricerca presente e al futuro. Alessandra Valentinelli Foto © CRISTINA ARCHINTO Info: www.giardinihanbury.com Altri giardini botanici e vivai Orto Botanico di Ginevra Orto Botanico di Ginevra Centro Botanico Moutan Orto Botanico di Palermo Roseto di Roma Chicago Batanical Garden Giardino Esotico Pallanca Parco Botanico Villa Rocca
- Orto Botanico di Napoli | terrimago
Il 18 maggio 1809 a Napoli aprì su via Foria “un Real Giardino di piante per la istruzione del pubblico e per moltiplicarvi le spezie utili alla salute, alla agricoltura e all’industria”. L'Orto botanico di Napoli è oggi gestito dall’Università Federico II ed è il secondo in Italia, dopo quello di Padova, per gruppi vegetali esotici: venticinquemila piante di nove mila specie riunite. CAMPANIA ORTO BOTANICO DI NAPOLI di CARLA DE AGOSTINI Il 18 maggio 1809 a Napoli aprì su via Foria “un Real Giardino di piante per la istruzione del pubblico e per moltiplicarvi le spezie utili alla salute, alla agricoltura e all’industria” . Il decreto con il quale Giuseppe Bonaparte lo istituì nel 1807 esprime concisamente le finalità didattiche, mediche, economiche e produttive del nuovo luogo. Le basi su cui si fonda l’orto partenopeo lo distingueranno fin da subito per la molteplicità di funzioni e per il suo patrimonio vegetale diversificato. Oggi è gestito dall’Università Federico II ed è il secondo in Italia, dopo quello di Padova, per gruppi vegetali esotici: venticinquemila piante di nove mila specie riunite. Dopo essere stato devastato dalle truppe alleate durante la Seconda guerra mondiale, l’orto rinacque nel 1948 con la costruzione di nuove serre, l’ammodernamento della rete idrica e l’incremento delle collezioni di Cycadales , succulente e felci. Nel periodo della sua fondazione la città partenopea era dominata dai francesi, e divenne fin da subito tra le più prestigiose istituzioni scientifiche dell’Italia meridionale. Il primo direttore fu il botanico italiano Michele Tenore e fu lui, in quasi cinquant’anni di carriera dal 1808 al 1860, ad organizzare in maniera scientifica l’orto e a promuoverne l’innovativa concezione botanica presso le principali istituzioni botaniche europee. A l’importanza iniziale della ricerca ben presto si affiancò anche quella sociale con la scelta dell’architetto Vincenzo Paoletti di valorizzare il paesaggio creando per i visitatori un “passeggio pubblico” con grandi viali alberati e piacevoli percorsi nel verde . Scelta arrivata fino ai nostri giorni con l’accesso libero all’orto per dar modo a tutti, dai bimbi agli anziani, di usufruire di un luogo di così grande interesse tutto l’anno. L’orto oggi vanta un Filiceto, un Palmeto, una zona Deserto e la raccolta di Cycadales tutti di notevole importanza. Nel Filiceto, situato in un avvallamento, sono riprodotte le condizioni di ombra e di umidità necessarie per la coltivazione delle felci. Dal latino fĭlix , il Filiceto è circondato da una cintura di alberi che protegge l’area dall’eccessiva insolazione, mentre rivoli e un laghetto artificiale, insieme ad abbondanti e frequenti annaffiature, mantengono il microclima ideale. Da qui, dove le riserve d’acqua abbondano, parte un itinerario ecologico che fa comprendere l’importanza dell’acqua nella biodiversità, che si conclude nel Deserto, dove la risorsa idrica invece scarseggia. Nella collezione di piante succulente del Deserto, sistemate su terriccio sabbioso per impedire i ristagni e con alcuni esemplari coperti d’inverno, ci sono dei notevoli esemplari tra cui delle mammilaria , notocactus , delle Wilcoxia Viperina , Opuntia e delle Agave americane . Il mondo primitivo delle Cycadales detiene il primato di piante a seme più antiche oggi viventi, e l’Orto Botanico ne ha una delle collezioni più importanti al mondo, sia per numero di specie e generi, sia per numero di esemplari, tanto che alcuni del genere Dion sono coltivati unicamente a Napoli. Qui spicca anche la Cycas revoluta donata nel 1813 da Maria Carolina Bonaparte, consorte del Re di Napoli Gioacchino Murat, in segno di gratitudine per la Terrazza Carolina, una struttura dell’orto oggi scomparsa. Attualmente, la pianta, che ha quasi 200 anni, ha raggiunto l’altezza ragguardevole di circa 5 metri. La Cycas revoluta è l’unica specie della famiglia delle Cycadaceae che ha avuto un grande successo come pianta ornamentale; è ampiamente diffusa nei parchi e nei giardini delle regioni a clima mite. Il nome comune Cycas non è un diminutivo ma è collegato alla somiglianza con le palme: deriva infatti da koykas , un vocabolo di origine greca adoperato proprio per indicare una palma non ben identificata. Inoltre l’orto comprende anche un agrumeto, lo Chalet , area concepita per i non vedenti, e la Serra Merola che ripropone le foreste tropicali pluviali e l’ecosistema costiero delle mangrovie messicane. L’area di più recente istituzione è dedicata alle piante della Bibbia, che ospita alcune tra le specie menzionate negli episodi più significativi del Vecchio e del Nuovo Testamento, come la mirra o l’ulivo. L’area riservata alle Magnoliophyta è ancora in allestimento, mostrerà l’evoluzione delle piante a fiore, in linea con le più recenti scoperte della Botanica Sistematica. Una visita all’orto partenopeo rappresenta non solo l’opportunità di conoscere e approfondire il mondo della botanica ma anche un’occasione unica per potersi godere una Napoli inaspettatamente calma, unica e originale a pochi passi dalla trafficata Via Foria. GALLERY Info: Sito ufficiale Magnolia Foto ©CRISTINA ARCHINTO Altri giardini botanici e vivai Orto Botanico di Zurigo e la Serra Malgascia Giardino Botanico Nuova Gussonea Orto Botanico di Catania Orto Botanico di Ginevra Centro Botanico Moutan Orto Botanico di Palermo Roseto di Roma Chicago Batanical Garden
- Caño Cristales| Terimago
Il Caño Cristales, "canale di cristallo", è un fiume della Colombia comunemente noto come il Fiume dei cinque colori. Il letto del fiume infatti si colora vivacemente tra l'estate e l'autunno grazie alla presenza di particolari piante acquatiche. COLOMBIA Le alghe Macarenia a Caño Cristales Il Caño Cristales (letteralmente "canale di cristallo") è un fiume della Colombia localizzato nella Serranía de la Macarena, nel dipartimento di Meta, ed è un affluente del fiume Guayabero, che parte del bacino dell'Orinoco. Il fiume è comunemente noto come il Fiume dei cinque colori. Il letto del fiume infatti da fine luglio a novembre si colora di cinque diversi colori: giallo, verde, azzurro, nero e soprattutto rosso, l'ultimo colore è causato dalla Macarenia clavigera una pianta acquatica presente sul fondo del fiume. È considerato uno dei più particolari fiumi della Terra tanto che il National Geographic lo ha descritto come sembrare provenire dal "Giardino dell'Eden". Il complesso montuoso della Serrania de la Macarena sul quale scorre il fiume è caratterizzato dalla presenza di antichissime rocce di quarzite risalenti a circa 1,2 miliardi di anni fa, estrema estensione occidentale del Massiccio della Guiana del Venezuela. Essendo un corso d'acqua minore, il Caño Cristales non raggiunge i 100 km di lunghezza e non supera mai i 20 m di larghezza. È un fiume a flusso rapido con molte rapide e cascate. In molti punti del letto del fiume sono presenti pozzi circolari detti marmitte dei giganti che si ritiene che possano essere stati formati da ciottoli o pezzi di rocce più dure di quella in cui scorre il fiume: se intrappolati dalla corrente ostacolata da un qualsiasi ostacolo, questi frammenti di rocce raschiano le pareti attorno all'ostacolo stesso creando una cavità. Col tempo altri frammenti di roccia dura cadono nelle cavità già presenti e, ruotati dalla corrente d'acqua, continuano a inciderne la parete, aumentando le dimensioni del pozzo. La Serranía de la Macarena si trova al confine di tre grandi ecosistemi, ognuno con un'elevata diversità di flora e fauna: le Ande, il Llanos orientale e la foresta pluviale amazzonica. La vita delle piante e degli animali è alle prese con la mancanza di nutrienti sulla solida superficie rocciosa dell'altopiano e ha sviluppato diversi adattamenti. Il bioma rappresentativo della Serranía de La Macarena è la foresta pluviale idrofitica: calda, tiepida e fredda. L'altopiano ospita circa 420 specie di uccelli, 10 specie di anfibi, 43 specie di rettili e otto di primati. Il Caño Cristales ha una grande varietà di piante acquatiche. L'acqua del fiume è estremamente limpida a causa della mancanza di nutrienti e di piccole particelle in sospensione. Quasi unica è la colorazione rosso-rosa brillante del letto del fiume che si osserva dopo il periodo delle piogge, alla fine di giugno fino a novembre. Questo colore è causato da grandi quantità di specie di piante endemiche di Macarenia clavígera. Questa pianta si trova solo in pochi altri fiumi locali, come il Caño Siete Machos. Queste piante rosse aderiscono saldamente alle rocce nei punti in cui il fiume ha una corrente più rapida. Load More Foto ©CRISTINA ARCHINTO Altri AMBIENTi E BOTANICA Grosseto Palmeti Palmeti Caldara di Manziana Terra Scoscesa Le Palme Luoghi d'Acqua Conoscere gli alberi
- Bomarzo | terrimago
Il Sacro Bosco di Bomarzo accoglie i visitatori con il suo fascino esoterico, accompagnandoli fra mostri di pietra e sculture misteriose attraverso un suggestivo percorso boschivo. LAZIO Bomarzo di LIVIA DANESE Il Sacro Bosco di Bomarzo si presenta notoriamente come un luogo enigmatico e affascinante. Ideato dal principe Orsini, venne inaugurato nel 1547 e dedicato a sua moglie Giulia Farnese. Abbandonando alla porta qualsiasi pregiudizio e convinzione, si è trasportati in un contesto surreale che coniuga il mondo dell’esoterismo e della mitologia con la placidità e la bellezza delle colline delle campagne viterbesi. Il giardino, anche noto come “Parco dei Mostri”, si crogiola nella sua fama di luogo ermetico e misterioso ma rappresenta più di una semplice espressione del gusto per le eccentricità dello stile manierista. La natura non è accessoria rispetto alle estrosità artistiche ma interviene direttamente nel produrre le sensazioni di straniamento, alienazione e fascino suscitate dal parco. Le statue, le fontane e le architetture, scolpite direttamente in loco nella roccia, sembrano emergere da un ambiente naturale che accentua la loro ambiguità. Le opere dunque non solo convivono con l’ecosistema ma sono in dialogo con esso: una gigantesca tartaruga sfrutta la fitta vegetazione per nascondersi ed affrontare una balena immersa nel torrente, per difendere la figura femminile collocata sul suo carapace. Le sfingi all’ingresso invitano direttamente i visitatori a concentrarsi sulle meraviglie del luogo, lasciando intuire che saranno i sensi, oltre che la mente, a guidare il percorso. Forse la frase “ogni pensiero vola” riportata sulla testa antropomorfa dell’Orco rappresenta proprio un invito ad abbandonare la totale razionalità? Iscrizioni enigmatiche e indovinelli, natura apparentemente sovrabbondante che ricopre ogni cosa, tutto sembra pensato per far perdere ogni equilibrio, come dimostra perfettamente la casa pendente. Allo stesso tempo sono presenti nel parco simboli rassicuranti, come la statua della dea Cerere, divinità materna della fertilità, e le ninfe danzanti. A causa dei cambiamenti avvenuti nel tempo, oggi l’itinerario attraverso il parco è diverso rispetto ai progetti del committente Orsini e questo rende ancora più complessa l’interpretazione dei simboli lungo il percorso. L’invito alla riflessione resta tuttavia chiarissimo; ora non resta che immergersi nell’intricato giardino, composto da una natura verdeggiante, dalle follie pietrificate e dai versi sibillini, interiorizzando le suggestioni, i misteri e l’incanto del luogo. GALLERY Foto ©CRISTINA ARCHINTO Info Sito ufficiale In evidenza Felce maschio - Dryopteris filix-mas Le felci sono le più antiche piante sul nostro pianeta e si stimi siano presenti da 350 milioni di anni. Il suo nome scientifico Dryopteris deriva drys quercia e pteris felce, infatti è molto comune nei boschi ombrosi di castagni e querce. Da sempre utilizzate come coloranti per via della presenza di tannino le felci venivano anche utilizzate per fare materassi e cuscini e il loro un buon odore allontanava le pulci. La felce ricorre anche in tante leggende e miti di tutta Europa una fra tutte narra che proprio nella notte tra il 23 e il 24 giugno festa di San Giovanni Battista la felce generi un fiore bianco candido che ha il potere di renderti invisibile, come i suoi semi. Anche Shakespeare ne era a conoscenza e la cita nel suo Enrico IV “Noi rubiamo come fossimo in una botte di ferro, perfettamente sicuri, abbiamo la ricetta dei semi di felci, camminiamo invisibili”. Altri GIARDINI e PARCHI Parco del Paterno del Toscano Villa Lante Labirinto della Masone Villa d'Este Giardino di Kenroku-en Giardino dell'impossibile Giardino di Ninfa Villa Pizzo